IMU. DURO COLPO AL NON PROFIT E ANCORA TROPPA POCA CHIAREZZA
26 Novembre 2012
COMUNICATO STAMPA DEL FORUM
Roma 26 novembre 2012
E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il regolamento che disciplina il pagamento dell’Imu delle organizzazioni non profit e che stabilisce quali enti non pagheranno – dal 1 gennaio 2013 – l’Imu in virtù della loro natura non commerciale, quali la pagheranno perché esercitano attività commerciale, e come verra’applicata l’Imu per le unità immobiliari con utilizzazione mista, dove cioè si svolgono sia attività commerciali che non. Il Forum del Terzo Settore, che aveva già chiesto una normativa chiara e non penalizzante per il non profit, ribadisce che si tratta di una problematica complessa che ha conseguenze importanti per tutto il non profit italiano e non può essere liquidata come una polemica tra Stato italiano e Chiesa cattolica.
“Il nodo cruciale è proprio uscire da questa controversia – dichiara il Portavoce del Forum Andrea Olivero – e considerare che le norme sul pagamento dell’Imu interessano l’intero e variegato mondo del non profit – oltre 235.000 organizzazioni, tra le quali, anche quelle di matrice cattolica –. Un mondo che occupa, in Italia, circa 750.000 persone in forma retribuita e impiega oltre 3 milioni di volontari, che contribuisce al 5% del pil e fornisce servizi fondamentali ai cittadini – dalle mense ai dormitori, dall’assistenza ai disabili alla cura degli anziani, dalla protezione civile alla difesa del patrimonio culturale – con pochissimi sostegni ed incentivi.”
Il regolamento stabilisce per gli enti non profit l’esenzione dal pagamento dell’Imu solo per le attività non commerciali e definisce quindi i requisiti che un’organizzazione deve possedere per essere definita tale: il divieto di distribuire utili, l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili per scopi di solidarietà sociale e infine l’obbligo, in caso di scioglimento, che i fondi residui saranno devoluti ad altro ente non commerciale.
Il problema arriva quando si legge l’articolo 4 del regolamento, che definisce ulteriori condizioni legate alla non commerciabilità distinte per settore di attività dell’ente: assistenziali e sanitarie, didattiche, ricettive, culturali e ricreative oppure sportive. In questi casi, se l’ente è accreditato o convenzionato, le attività devono essere gratuite o possono essere richiesti ‘eventuali importi di partecipazione alla spesa’, se invece l’ente non è accreditato né convenzionato, le attività devono essere gratuite o può essere chiesto un versamento di corrispettivi di “importo simbolico” e, comunque, ‘non superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con il costo effettivo del servizio’.
“Il problema – sostiene il portavoce – è a questi criteri si aggiungono termini quali ‘retta simbolica’ o importo ‘non superiore alla metà dei prezzi medi di mercato’ senza che essi vengano definiti.” Viene chiesto in sostanza di far riferimento ad un prezzo di mercato che però non deve essere costruito secondo le logiche del mercato. “Una norma quindi che crea molta confusione e lascia aperti ampi margini di interpretazione.”
“Inoltre, è del tutto improprio invocare il divieto di concorrenza in quanto le organizzazioni sociali si caricano di responsabilità pubbliche, cosa che i singoli privati non fanno. Pertanto i benefici di cui eventualmente godono sono ampiamente compensati dai maggiori oneri nei confronti dei cittadini che le organizzazioni si assumono. Le organizzazioni non profit svolgono infatti un’attività che ha un vantaggio sociale che ampiamente compensa quello che è il beneficio che viene dato da queste norme.”
“Ricordiamo infine che fino al 2011 gli enti non commerciali in possesso di immobili ‘destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive’, erano esonerati dall’obbligo di presentare la dichiarazione ICI e quindi esenti dal pagamento di tale imposta. Un regolamento come questo, oltre ad ingenerare una grandissima confusione, di certo non aiuta quanti, in Italia, svolgono attività a grande ricaduta sociale, anzi andrà a penalizzarli fortemente”.