Corte dei Conti: relazione sulla Destinazione e gestione del 5 per mille
28 Dicembre 2013Il 24 dicembre scorso la Corte dei Conti ha reso pubblica la Relazione sulla Destinazione e gestione del 5 per mille (14/2013/G)
Riportiamo di seguito l’estratto iniziale relativo alla sintesi del documento.
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DESTINAZIONE E GESTIONE DEL 5 PER MILLE DELL’IRPEF
MAGISTRATO RELATORE: ANTONIO MEZZERA
Sintesi.
L’istituto del 5 per mille rappresenta un’ulteriore opportunità per il privato sociale di farsi interprete di istanze solidali e mutualistiche e un tentativo di introdurre una forma di democrazia fiscale all’interno dell’ordinamento italiano.
Peraltro, la sua mancata stabilizzazione attraverso una legge organica -in grado di garantire la certezza delle risorse nel corso di un arco temporale ragionevole e la definizione di tempi certi per l’erogazione dei fondi, al fine di permettere ai beneficiari di programmare, con congruo anticipo, le attività- ha prodotto inefficienze ed inutili appesantimenti burocratici.
Il quadro normativo dell’istituto risulta confuso ed inadeguato al possibile nuovo ruolo istituzionale del privato sociale.
Inoltre, le attività di coordinamento, controllo e garanzia delle amministrazioni interessate appaiono ancora insufficienti, così come la loro capacità di favorire le autonome iniziative dei cittadini.
Il tetto di spesa annuo è in contrasto con le determinazioni dei contribuenti, riducendo, di fatto, la percentuale del contributo.
I ritardi nelle erogazioni –dovuti alla pluralità di amministrazioni coinvolte, con scarso coordinamento tra loro, e a disfunzioni interne a ciascuna di esse- sono causa dell’incertezza sulla disponibilità delle risorse per i beneficiari.
Il ricorso alle convenzioni –peraltro, non ancora stipulate per gli anni successivi al 2010- fra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Agenzia delle entrate appare un modello organizzativo dispendioso, motivo di conflittualità e di allungamento dei tempi.
L’analisi delle rendicontazioni procede lentamente ed in maniera assai laboriosa, anche a causa dello scarso raccordo e dell’assenza di flussi informativi essenziali per il suo svolgimento tra i Ministeri e l’Agenzia delle entrate.
L’attuale disciplina agevola, di fatto, gli organismi di maggiori dimensioni e più strutturati. Ciò è dovuto alle maggiori capacità organizzative, alle superiori disponibilità finanziarie ed alle migliori capacità di competizione per ottenere la sottoscrizione dei contribuenti.
Peraltro, l’attribuzione delle risorse in base alla stretta capacità contributiva fa sì che alcuni enti che possono raccogliere il favore di optanti abbienti ottengano, anche con un basso numero di scelte, somme assai rilevanti.
Inoltre, altri, con un numero di scelte minime –anche di solo una o due-, ricevono importi notevoli, per il fatto di essere sostenuti da contribuenti assai facoltosi. Ciò può produrre effetti distorsivi, rischiando di piegare un istituto di rilevanza sociale a finalità egoistiche e personali.
L’ammissione al beneficio degli organismi del volontariato è esclusa per gli enti con personalità giuridica di diritto pubblico. Ciò non sembra del tutto coerente con le finalità dell’istituto, tenendo conto che, per altre categorie, -ricerca scientifica, ricerca sanitaria, Comuni-, la natura pubblica non osta all’attribuzione.
Per il finanziamento delle attività sociali svolte dai Comuni di residenza, la differente capacità fiscale dei contribuenti sul territorio nazionale fa sì che i Comuni più ricchi possano beneficiare, in proporzione, di maggiori introiti, senza alcun meccanismo di perequazione o coordinamento.
Per gli enti di sostegno alle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, non è prevista la scelta da parte dei contribuenti. Ciò suscita perplessità, in quanto la mancata opzione è in contrasto con la ratio dell’istituto, venendo attribuita all’amministrazione la determinazione dei destinatari. Inoltre, l’esclusione degli enti di diritto pubblico appare arbitraria ed irrazionale, in quanto la scelta dei contribuenti si riferisce all’attività in sé di tutela, promozione e valorizzazione. Peraltro, la limitazione del finanziamento ai soli enti privati non appare nemmeno sulla scheda di scelta.
Deve essere migliorata la trasparenza dei dati inseriti sulla rete web. Infatti, spesso, non sono identificabili i beneficiari, a causa dell’assoluta genericità nell’indicazione di essi.
Inoltre, non vengono pubblicati i dati aggregati dei contributi ottenuti dagli enti presenti in più elenchi. Infine, per gli enti di sostegno ai beni culturali e paesaggistici, non viene comunicato il contributo ricevuto.
La percentuale degli optanti fra coloro che non presentano la dichiarazione dei redditi è minima e, pertanto, risulta disincentivata la contribuzione al 5 per mille di un rilevante numero di persone, generalmente quelle a più basso reddito.
Nessuna scelta è possibile per i milioni di cittadini che non pagano l’Irpef e che, pertanto, sono esclusi da tale forma di partecipazione.
Sussiste un conflitto di interesse di numerosi enti che, anche indirettamente, gestiscono i Centri di assistenza fiscale e sono potenziali beneficiari del 5 per mille.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è stato il solo a sottoporre la gestione del 5 per mille al controllo interno. Tuttavia, la valutazione dei risultati appare del tutto
autoreferenziale, mancando l’apporto valutativo-correttivo dell’organismo a ciò deputato ed il riscontro sull’efficacia dell’intervento.
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