Uici – Scuola: non vogliamo una scuola per disabili visivi
25 Gennaio 2016Autore: Luciano Paschetta
La scuola per ciechi è un’idea fuori dal tempo su cui non posso tacere
Letta la proposta Cervellin di aprire una “scuola specialistica” per disabili visivi, sono rimasto sconcertato dalla “debolezza pedagogica” della motivazione data a sostegno dell’iniziativa e, quale esperto che da oltre quarant’anni si occupa di inclusione scolastica di questa tipologia di alunni, non posso tacere.
Se è vero che l’inclusione scolastica dei disabili visivi, così come si è venuta realizzando, presenta alcuni aspetti critici, questo significa solo che essa, così come è, non va, non che il modello inclusivo non sia valido. La proposta Cervellin, nonostante venga presentata solo come una modalità diversa di realizzare l’inclusione scolastica degli alunni disabili visivi, in realtà è falsamente inclusiva: è vero che è prevista l’inclusione in una classe “mista” tra alunni normovedenti ed alunni con disabilità visiva, ma affinché questi ultimi possano frequentare questa scuola dovranno essere sradicati dal contesto famigliare e sociale in cui vivono ed essere “istituzionalizzati”, riprendendo un modello educativo riconosciuto valido nel tempo in cui era stato proposto da Gentile e realizzato (anni ’30), ma che è stato messo in discussione da tutte le recenti teorie pedagogiche. Riproporlo ora significa anche non tener conto che in questi 90 anni la scuola e la società sono profondamente mutate e, per questo semplice fatto, oggi, una simile proposta risulta “fuori dal tempo”. La storia non si ferma, la storia va avanti con noi o senza di noi. Voler tornare a modelli del passato con l’illusione che essi hanno funzionato e quindi funzioneranno anche adesso, vuol dire semplicemente non essere stati capaci di leggere i segni dei tempi.
Cosa poi assolutamente discutibile è quella di voler fare una “scuola specialistica” per soli alunni altrettanto “speciali”, con la sola disabilità visiva. Al di là di questa idea di “selezione preventiva” che richiama ideologie segregazioniste che poco hanno a che fare con l’inclusione, l’autore della proposta sembra conoscere poco le problematiche dello sviluppo socioeducativo del bambino con problemi di vista: egli dovrebbe sapere che, nel bambino non vedente, normodotato alla nascita, ma non educato correttamente nel “pre-scuola” non è difficile assistere al sorgere di “disabilità secondarie”. Oltre che fuori dal tempo il modello proposto risulta essere anche fuori dalla realtà: anche in questo caso si fa riferimento ad un “disabile visivo ideale” anziché partire da “bambini reali”.
Nel mio contributo “Sostegno o docente di sostegno?” pubblicato nelle pagine precedenti, muovendo dall’analisi del come si è venuta realizzando l’inclusione dei disabili visivi e quale sia attualmente lo “stato dell’arte”, ho cercato di chiarire che per una corretta inclusione degli alunni non vedenti e ipovedenti non serve il “docente di sostegno” se non nei primi anni della scuola elementare; servono invece “centri di sostegno” e una figura capace di supportare i docenti titolari nel dare le giuste risposte ai bisogni specifici del disabile visivo.
Su quest’ultimo punto un grosso aiuto verrebbe dal definire il profilo professionale dell'”assistente alla comunicazione” (art. 13 comma C legge 104/92) ed il relativo percorso formativo, obbligando poi le cooperative e gli enti che svolgono il servizio di assistenza scolastica e/o domiciliare a servirsene. Noi nella proposta di legge FAND-FISH sull’inclusione scolastica, i cui principi sono stati tutti recepiti nella legge 107 ed i cui contenuti stiamo cercando di trasferire nell’emanando decreto delegato sull’inclusione, lo abbiamo previsto.
La modalità di realizzazione dell’inclusione degli alunni con disabilità visiva va corretta, non certo attraverso nostalgici quanto dannosi ritorni al passato, ipotizzando “modelli ideali” per “disabili visivi ideali” fuori dal contesto, dal tempo e dalla realtà, ma guardando alla scuola che sarà, attraverso una maggior specializzazione dei docenti ed una maggior consapevolizzazione della scuola sui bisogni specifici dei ciechi e degli ipovedenti, creando le condizioni perché il contesto diventi inclusivo e, a nostro parere, la legge 107 contiene tutti i principi perché ciò possa realizzarsi.