#Riforma Terzo Settore #Notizie

Reti associative: le opportunità aperte dalla riforma del terzo settore

Ampiamente diffuse nel non profit italiano, vengono finalmente normate dalla nuova legislazione. Quelle nazionali avranno funzioni importanti tra cui la verifica dei requisiti necessari all’iscrizione al registro unico nazionale per le organizzazioni territoriali. In un articolo di Marina Montaldi*  pubblicato su Cantiere Terzo Settore, le novità in arrivo.

Nella tassonomia dei nuovi “tipi legali” previsti dalla riforma del terzo settore hanno trovato posto anche le reti associative, soggetti collettivi strutturati in forma di associazione, caratterizzati dall’adesione “massiva” di altri enti del terzo settore.

Le reti rappresentano una delle più rilevanti novità legislative della riforma, ma non in termini assoluti, trattandosi di un fenomeno organizzativo, istituzionale e sociologico già ampiamente diffuso. Basti pensare che quasi la metà degli oltre 350.000 enti non profit in Italia fanno parte di reti. La vera novità in quest’ambito è il riconoscimento della piena dignità giuridica a tali modelli istituzionali, riservando loro una disciplina ad hoc.

Questa caratteristica, che nasce dalla necessità di fornire un registro giuridico unitario a fenomeni complessi ad assetto differenziato, non indica che le reti configurino una categoria distante dalla quotidianità delle realtà non profit locali in cui si svolge una larga parte dell’esperienza di volontariato o di intrapresa sociale promossi dalla riforma. Al contrario, ne costituiscono uno dei principali motori, considerato che la missione ad esse affidata dal legislatore è di coordinare, tutelare, rappresentare, promuovere e supportare gli enti del terzo settore ad esse associati, “anche allo scopo di promuoverne ed accrescerne la rappresentatività presso i soggetti istituzionali” (art. 41, Codice del terzo settore). Non sorprende, quindi, che il legislatore delle reti abbia voluto espressamente prevedere la possibilità di partenariati e protocolli di intesa tra queste e la pubblica amministrazione, così come con soggetti privati, quasi a voler indicare non una mera facoltà (evidentemente già immanente ai principi dell’ordinamento gius-privatistico), bensì un orientamento di indirizzo nella definizione del modello di rapporto con il terzo settore.

Supporto e semplificazione: le funzioni nei confronti delle organizzazioni locali

Le istanze delle organizzazioni di terzo settore che lavorano sui territori trovano quindi nelle reti associative l’ente esponenziale in grado di raccoglierle, sistematizzarle ed amplificarne l’impatto comunicativo sia nel confronto con i soggetti istituzionali, pubblici e privati, sia nei riguardi dell’opinione pubblica.  

L’adesione a reti associative è in grado, altresì, di semplificare il rapporto dell’ente locale con il registro unico nazionale del terzo settore, visto che alle reti associative è consentito di predisporre modelli standard di statuti che, laddove approvati dal Ministero del lavoro, soggiacciono alla sola verifica di regolarità formale, con obbligo di iscrizione nel registro entro trenta giorni dall’istanza (invece che degli ordinari sessanta). Inoltre, è prevedibile che gli adempimenti che saranno definiti dal decreto in materia di registro unico possano essere assolti materialmente anche dalla rete, per conto dell’ente aderente che lo richieda.

Le caratteristiche per diventare rete, dal numero di associati alla diffusione territoriale

Qual è il requisito dimensionale richiesto ad un’associazione per essere rete? Dipende dalla misura d’azione cui essa aspira, nazionale o locale, fermo restando che il presupposto si declina attraverso un duplice criterio: il numero di enti aderenti e la diffusione territoriale.

Le reti nazionali devono associare non meno di 500 enti del terzo settore o, in alternativa, 100 fondazioni. Le sedi legali od operative delle aderenti devono essere collocate in almeno dieci regioni o province autonome.

Meno impegnativo è l’assetto organizzativo richiesto alle reti associative diverse da quelle nazionali: minimo 100 enti del terzo settore aderenti (o 20 fondazioni di terzo settore) e presenza in almeno 5 regioni o province autonome.

In ragione della peculiarità dei loro assetti, alle reti sono consentite ampie deroghe al modello organizzativo e di governo previso dal legislatore della riforma per le associazioni e possono definire autonomamente l’ordinamento interno, la struttura di governo e la composizione ed il funzionamento degli organi sociali, fermo restando il rispetto dei principi ordinamentali fondamentali della riforma: democraticità, pari opportunità, uguaglianza degli associati, elettività delle cariche sociali. Deroghe, qualora previste dallo statuto della rete, sono altresì consentite ai principi del voto singolo e del voto plurimo con “tetto massimo” stabilito per i soci enti collettivi di associazioni non-reti, nonché ai limiti di rappresentanza in assemblea mediante delega.  

Monitoraggio, assistenza tecnica e autocontrollo anche in funzione del registro unico

Le reti associative nazionali, in aggiunta alle funzioni di rappresentanza, tutela, promozione e supporto agli enti aderenti, e alla conduzione di attività statutarie proprie degli enti di terzo settore (attività di interesse generale ed eventuali attività diverse), possono svolgere funzioni di monitoraggio degli enti associati e predispongono una relazione annuale sul punto, indirizzata al Consiglio nazionale del Terzo settore.

Inoltre, potranno esercitare attività di autocontrollo e di assistenza tecnica verso i propri associati, se dotate di requisiti organizzativi e professionali ritenuti adeguati allo scopo in base ad atto formale di riconoscimento da parte del Ministero del lavoro. In particolare, questa funzione potrà essere svolta per finalità di verifica relative a:

  • la sussistenza e la permanenza dei requisiti necessari all’iscrizione al registro (ad esempio, la struttura di base aderente, iscritta come associazione di promozione sociale, rispetta il requisito della prevalenza del lavoro dei volontari associati e dei volontari aderenti agli enti associati?);
  • il perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche o di utilità sociale (ad esempio, l’ente aderente svolge prevalentemente le attività di interesse generale di cui all’art. 5 del codice di terzo settore?);
  • l’adempimento degli obblighi derivanti dall’iscrizione al registro unico nazionale del terzo settore (ad esempio, l’ente aderente assolve l’obbligo di pubblicazione annuale dei compensi degli organismi e dei soci?).

Struttura e organizzazione di una rete associativa

Ma come deve essere strutturato un soggetto associativo per essere considerato rete? Quali i componenti costitutivi? Il legislatore non dispone regole al riguardo, cosicché si devono desumere applicabili i principi generali posti a governo dell’ente che gli consentono autonomia dispositiva in sede di contratto associativo, ed i cui termini andranno a riconciliarsi in quel sistema di pubblicità trasparente verso i terzi previsto dal registro unico. Il tutto, fermo restando il rispetto dei canoni legali generali che garantiscono l’espressione delle libertà costituzionali assicurate ai soggetti associativi (combinato disposto artt. 2 e 18 Cost.): utilità sociale, sicurezza, rispetto della libertà e dignità degli individui.

La rete associativa potrà, quindi, nei termini di limite sopra richiamati, disporre il proprio assetto organizzativo secondo le modalità di configurazione del patto associativo che corrispondono alla propria tradizione operativa ed ideale, ad esempio con articolazioni di livello regionale e/o provinciale anche dotate di autonomia giuridica (centri dotati di proprio statuto e codice fiscale), stante il rapporto/concorso funzionale stabile agli assetti di sistema dichiarati sia nello statuto della sede nazionale della rete, sia del singolo livello territoriale interessato.

Le reti associative, inoltre, sono gli unici enti di terzo settore che potranno iscriversi in più d’una sezione del registro unico nel caso in cui assommino, alla qualità di rete, altra qualifica rilevante secondo i tipi legali della riforma, ad esempio associazione di promozione sociale o organizzazione di volontariato.

* Marina Montaldi , dottore commercialista esperta di consulenza fiscale e societaria a enti non profit e componente del tavolo Legislativo del Forum nazionale del terzo settore.

Collaborazioni

acri
anci
caritas
finanza sostenibile
fondazione triulza
istat
minstero del lavoro
Next
Social economy
welforum

Media partnership

Vita
Dire
redattore sociale
buone notizie