“Italia in ritardo sul riconoscimento delle competenze di cittadinanza. Ma il Terzo settore apre la strada”
13 Novembre 2023Il 2023 è stato proclamato l’Anno Europeo delle Competenze e per il Terzo settore rappresenta l’occasione per lanciare In Italia una nuova strategia di sviluppo e valorizzazione delle competenze. In vista del convegno promosso dal Forum Terzo Settore a Roma il prossimo 22 e 23 novembre, pubblichiamo di seguito un’intervista su questo tema a Licio Palazzini, coordinatore del Tavolo Servizio Civile del Forum Terzo Settore.
- La necessità di una strategia nazionale di sviluppo delle competenze, che contempli anche quelle trasversali e di cittadinanza, sta recentemente emergendo con più forza nel nostro Paese, anche grazie all’impegno in questa direzione del Terzo settore. Da dove nasce l’esigenza di accendere i riflettori su questo tema?
Partirei da due elementi. Il primo è di tipo “valoriale”: quello di crescere ed emancipare sé stessi è un obiettivo che gran parte delle persone, in tutte le fasi della vita, si pongono. In ciascuno di noi c’è il bisogno di essere consapevoli delle competenze, non solo tecnico-professionali, che si posseggono e di vederle valorizzate e riconosciute nella società. Il secondo elemento è la base da cui nasce l’idea del prossimo convegno a Roma: la povertà educativa, in Italia ma non solo, sta crescendo in modo drammatico, mentre diminuiscono le occasioni di apprendimento. Le cause di questo processo sono diverse, ma sicuramente ad avere un impatto negativo c’è la forte spinta, negli ultimi anni, all’acquisizione di competenze finalizzata esclusivamente a entrare nel mercato del lavoro, come se le persone non avessero altrettanto bisogno di apprendere e migliorare sé stessi al fuori del contesto lavorativo. Inoltre, l’accelerazione del processo di digitalizzazione sembra aver portato in secondo piano la necessità di acquisire competenze con modalità più coinvolgenti, di scambio interpersonale: le ricerche scientifiche ci dicono ad esempio che le giovani generazioni sono sempre meno abituate a scrivere o a prendere appunti perchè l’apprendimento avviene a volte esclusivamente su strumenti “dematerializzati”, con ricadute sulla comprensione profonda dei contenuti.
- Dal punto di vista del riconoscimento e della valorizzazione delle competenze trasversali (le cosiddette “soft skills”) a che punto è il nostro Paese?
In Italia il percorso per lo sviluppo e il riconoscimento delle competenze ha avuto un importante input con il decreto legislativo 13 del 2013, che ha definito le regole generali per l’individuazione e il riconoscimento delle competenze, acquisite sia in contesti formali che non formali (come ad esempio nelle esperienze di volontariato e di servizio civile). Nel 2023, però, siamo ancora all’anno zero nella messa in pratica delle intuizioni contenute in quel provvedimento. In altri Paesi europei si è andati avanti nel percorso con la descrizione di competenze sviluppate in vari ambienti, affinchè soggetti terzi potessero riconoscerle “ufficialmente”. In altre parole, mentre altrove si sta dando concreta attuazione alle norme, qui siamo ancora al livello delle sperimentazioni, di cui è protagonista proprio il Terzo settore.
- Perchè questo ritardo?
Ho già detto della spinta alle sole competenze per il mercato del lavoro. Inoltre ha contribuito il fatto che da noi, a livello costituzionale, la formazione professionale è competenza delle Regioni e Province Autonome. Per molto tempo si è assistito al paradosso per cui se una persona otteneva la certificazione di una competenza da un ente abilitato in una certa Regione, la stessa non veniva riconosciuta in un’altra Regione. E ancora oggi, ottenere la certificazione non è un diritto esigibile per cittadini di molte Regioni e, nonostante un provvedimento del 2021, anche la portabilità sul territorio nazionale non è scontata.
- In che modo il tema delle competenze si lega a questioni cruciali come l’equità sociale, la transizione ecologica e digitale?
Per comprendere il legame dobbiamo partire dal presupposto che la qualità di vita delle persone si misura non solo da fattori come l’alimentazione o l’aria pulita o la salute, ma anche dall’accesso a un sistema di apprendimento ed educazione. Una persona è competente nel momento in cui non solo sa fare un’attività specifica, ma è anche consapevole che quell’attività specifica ha finalità più ampie e un preciso valore all’interno del contesto sociale. Ecco perché siamo convinti che le competenze civiche vadano inserite nell’ “atlante delle professioni”, insieme a quelle tecniche: è grazie a esse che si acquisisce percezione del presente e visione del futuro. Prendiamo ad esempio la transizione ecologia: sviluppare un impianto fotovoltaico è una competenza tecnica, ma non è sufficiente a comprendere i motivi, i costi, i benefici e i tempi della transizione. Se a livello pubblico pesano le visioni politiche, a livello soggettivo è l’inconsapevolezza che fa affermare quel tipo di narrazione che racconta la transizione ecologica esclusivamente in termini di perdita di lavoro o di peggioramento delle condizioni di vita. Ma sappiamo che non è così: la transizione può e deve essere un’opportunità positiva e inclusiva per tutti e il possesso di competenze trasversali facilita questa consapevolezza.
- Quale lavoro sta portando avanti il Terzo settore, anche all’interno del Forum?
Il Forum Terzo Settore è stato un precursore dell’impegno sul tema delle competenze. Con il progetto FQTS, in particolare, ha iniziato tanti anni fa ad analizzare che tipo di competenze vengono effettivamente agite dagli operatori del Terzo settore, e a fare formazione capillare tra i dirigenti territoriali. Oggi la sfida è quella di ampliare il numero delle persone, volontari e dirigenti di Terzo settore che sono raggiunti da questo percorso di individuazione e messa in trasparenza e validazione delle competenze, ma anche e soprattutto far sì che il tema di queste competenze entri nelle agende della politica nazionale, dei territori, degli enti locali, degli uffici del lavoro.
- Che ruolo ha il Servizio civile nello sviluppo delle competenze? I giovani non hanno già sufficienti possibilità di apprendimento?
Il Servizio civile deve entrare a pieno titolo nel percorso sulle competenze. Da questo punto di vista considero l’anno di servizio un bagno di realtà: sia per chi studia o ha studiato, sia per chi non l’ha fatto, e per tanti giovani indecisi o privi di un’alternativa o un’integrazione alla vita sui social. È un’esperienza da cui si impara a relazionarsi con gli altri, ad affrontare gli insuccessi o ad avere conferma di ciò che si sa fare. Soprattutto, il Servizio civile è finalizzato all’educazione alla soluzione nonviolenta dei conflitti, quindi, soprattutto in questa fase storica in cui c’è un’enorme crescita dei conflitti e di ricorso a soluzioni violente, il Servizio civile dà l’opportunità di capire che non ci sono solo modi autoritari o gerarchici per affrontare i contrasti: esiste il dialogo, il lavoro di gruppo, il compromesso. È a tutti gli effetti un’esperienza di educazione alla cittadinanza. Nonostante dal 2016 con la legge 106, all’art. 8, lettera h), sia fissato l’obiettivo di valorizzare le competenze degli operatori volontari, ad oggi non c’è nulla che valga per tutti, a prescindere dal luogo o dai progetti svolti. Le condizioni sono mature per far sì che il Ministero del Lavoro, le Regioni e la politica tutta facciano una scelta in direzione di questi giovani e uno degli obiettivi del convegno è proprio contribuire a fare passi concreti in questa direzione.