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Slow Food – Morire per un centesimo in meno

La morte di Satnam Singh non è un’anomalia inspiegabile ma la prevedibile conseguenza di un sistema. L’articolo di Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia

In guerra si chiamerebbe “danno collaterale”. Nella zootecnia industriale una narrazione rassicurante definirebbe le scene atroci che abbiamo visto tutti all’interno degli allevamenti intensivi, “mele marce”. In questo caso si è definito questo orrore una tragedia che soffoca l’agricoltura onesta.

La morte di Satnam Singh, 31 anni, come altri paradossi insostenibili, non è un’anomalia inspiegabile ma la prevedibile conseguenza di un sistema.

Noi crediamo che sia urgente essere onesti e mettere in discussione il sistema economico che produce sistematicamente schiavitù, sfruttamento e morte, insieme alla narrativa che lo sostiene. Si continua a prendere in esame solo un segmento alla volta del complesso meccanismo che costituisce il sistema alimentare globale, di cui facciamo parte: un sistema basato sul profitto a qualsiasi costo, quindi massimizzazione della produzione e del consumo al minor prezzo possibile. Se accettiamo questo paradigma accettiamo lo sfruttamento degli esseri umani, degli animali, delle risorse naturali, da parte dei grandi gruppi economici a favore dei loro interessi privati e specifici. Accettiamo lo spreco e la fame.

Accettiamo il degrado ambientale e sociale a cui siamo arrivati. Accettiamo di frammentare la realtà in tessere minuscole funzionali al lucro: tessere che alcuni possono a loro piacimento utilizzare. Che si tratti della deviazione di un fiume, di un pollo tramortito contro un palo di ferro perché sottodimensionato rispetto agli standard, di una donna venduta come prostituta nella tratta di esseri umani, dell’uccisione di attivisti che si oppongono al taglio di una foresta primaria, della vita di un lavoratore ridotto in schiavitù.

Nei mesi scorsi il settore primario, in Italia e non solo, ha occupato le prime pagine dei giornali con la vistosità di quella che è stata definita “protesta dei trattori”. Una protesta variegata, che comunque denunciava un disagio reale e concreto del settore, con una radice comune: una politica agricola che per decenni ha guardato al cibo solo come merce nel breve termine dell’orizzonte elettorale. All’interno di un meccanismo terribilmente efficiente nel convogliare grande potere economico e, tramite il sistema delle lobby, politico nelle mani di pochissimi potenti gruppi economici che, nel caso del sistema agroalimentare, controllano semplicemente tutto. La complessità di quella protesta – e il disagio che esprimeva – è stata banalizzata strumentalmente alla contrapposizione contadini-ambientalisti, col risultato di stralciare i minimi obiettivi raggiunti faticosamente nell’ambito del Green Deal, facendo un grande favore alle corporation che hanno investito consistenti capitali nella produzione di sementi brevettai e pesticidi di sintesi, ma lasciando intatte le criticità del settore nel suo insieme.

Nei giorni scorsi, abbiamo visto la piaga dei prezzi al ribasso dietro alla morte di Singh.

Un sistema di potere che prevede spreco, sfruttamento e schiavitù per garantire prezzi finali irrisori delle materie prime. I dati dell’Ispettorato del Lavoro confermano che i meccanismi di sfruttamento nel settore dettano le regole nell’agricoltura italiana: nel 2023, nelle 222 ispezioni condotte dall’agenzia governativa nel Lazio, il tasso di irregolarità rilevato è pari al 64,5%, con 608 casi di caporalato accertati: quasi 3 per ciascuna ispezione.

In tutto questo, sia nell’ambito delle proteste degli ultimi mesi, sia in relazione alla morte di Singh, i grandi assenti sono le catene di distribuzione, i grandi supermercati, la Gdo: coloro che vendono a prezzi irrisori determinando i parametri del mercato. Eppure quasi non compaiono tra gli attori nel sistema alimentare, mentre, al contrario, hanno un ruolo determinante.

Prezzi ancora più bassi che vanno incontro alle esigenze dei consumatori. Ma davvero?

In effetti i prezzi al consumo per i lavoratori dipendenti, dal 2015 al 2024, sono aumentati del 58,9%, con in primo piano il comparto alimentare. Secondo l’Osservatorio sulla Gdo italiana di Area Studi Mediobanca, nel 2023 l’aumento generalizzato dei prezzi ha spinto le vendite nominali della Gdo italiana a +8,3% rispetto al 2022, con un impatto negativo sui volumi (-1,7%). Ciò significa che si è pagato di più per ottenere meno. Questo è accaduto perché, mentre nel 2022 i distributori hanno assorbito parte dell’inflazione dei fornitori trasferendo sui prezzi al dettaglio un livello di inflazione medio del 6,3%, nel 2023 la variazione media annua dei prezzi al consumo ha superato quella dei prezzi alla produzione (+8,2% vs +6,3%). Un altro studio, Lo stato del Largo Consumo in Italia di NielsenIQ, analizza l’andamento delle abitudini di acquisto delle famiglie italiane, evidenzia come la Gdo abbia registrato un fatturato di 9,9 miliardi di euro a dicembre 2023, valore cresciuto del 4,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Segnaliamo anche che dal 2021, la Direzione distrettuale antimafia della Procura di Milano, ha eseguito sequestri per più di mezzo miliardo di euro per frodi fiscali: coinvolte importanti società operanti nella Gdo, come Esselunga, Carrefour Italia e Lidl, oltre ad aziende che operano nel campo della logistica. Scrive la Procura: “è sufficiente sostituire ‘manodopera meridionale’ con ‘lavoratori extracomunitari’ e si toccherà con mano un fenomeno di sfruttamento che va avanti da anni e che coinvolge lavoratori in condizioni di fragilità”. Così da un lato abbiamo piccole aziende agricole, contadini, braccianti, letteralmente “schiacciati” tra pressione fiscale, malaffare e burocrazia, mentre grandi committenze e intermediari fanno affari.

Ed è in questo sistema industrialista che tutela il profitto, che prevede economie di scala e accentramento, che l’azienda agricola deve essere coerente con tale logica e vi rimane incastrata. Si tratta di una struttura di potere che ha “bisogno” dello sfruttamento per mantenere livelli stabili di profitto da un lato, pur assorbendo la fetta più importante dei sussidi europei e italiani per l’agricoltura.

Un sistema che, dobbiamo dirlo chiaramente, avvantaggia la Gdo e l’industria agroalimentare, non i cittadini. Non i contadini.

Il numero di contadini autonomi, infatti, si è dimezzato negli ultimi decenni. Nello stesso tempo il numero di giornate lavorate è aumento, segno che, chi non ha chiuso, lavora molto più di prima.

Nel nostro impegno da tempo evidenziamo i paradossi di un sistema alimentare basato sul profitto e che tollera l’iniquità: vogliamo ribaltare questo paradigma e uscire da una logica il cui solo parametro è il ritorno economico. Servono impegni concreti sul piano normativo, serve una mobilitazione popolare a fianco dei lavoratori sfruttati, serve una cultura nuova che restituisca valore al cibo e alla vita stessa.

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