#Monitoraggio povertà #Normativa

Monitoraggio settimanale sul contrasto alla povertà 24/09/2018

A cura del Forum Nazionale Terzo Settore – Ufficio Studi e Documentazione

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ALLEANZA CONTRO LA POVERTÀ

Conferenza stampa
27 settembre 2018 – ore 11.30

Rafforzare le politiche contro la povertà. Verso il Reis
Sala Nilde Iotti Palazzo Theodoli Bianchelli
Piazza del Parlamento, 9 – Roma

11.30 | Registrazione partecipanti
11.45 | Saluto di benvenuto – On. Stefano Lepri – XI Commissione (Lavoro pubblico e privato)
12.00 | Interventi:
Roberto Rossini – Portavoce dell’Alleanza contro la povertà in Italia
Cristiano Gori – Coordinatore scientifico dell’Alleanza contro la povertà in Italia
13.00 | termine lavori

Per informazioni e accrediti: coordinamento@alleanzacontrolapoverta.it


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Movimenti intorno al Reddito di cittadinanza

Emanuele Ranci Ortigosa | 20 settembre 2018

Che il tema del contrasto alla povertà occupi ora uno spazio senza precedenti nell’agenda politica è molto importante e va ascritto a merito del Movimento 5 Stelle che lo ha inserito nel Contratto di governo e anche a Di Maio che se ne è assunto la responsabilità politica come Ministro del Lavoro. Merita quindi attenzione la mozione approvata dalla maggioranza di Governo alla Camera che traccia linee per futuri interventi e in particolare per l’introduzione del Reddito di cittadinanza. Il testo della mozione richiama in apertura il Reddito di Inclusione (Rei), la misura introdotta dal governo Renzi e ampliata poi dal governo Gentiloni, riconosciuta come “misura unica nazionale di contrasto alla povertà” e come “livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale”, ma sviluppa poi su di essa interessanti valutazioni.

“Dal punto di vista teorico, afferma la mozione, la scelta tra selettività e universalismo riflette una diversa concezione circa il ruolo dello stato. Nel caso del cosiddetto Rei, il modello di riferimento è quello di uno stato sociale con compiti residuali, in cui la fornitura delle prestazioni non può che essere subordinata alla prova dei mezzi e il livello dei benefici deve essere appena sufficiente a garantire un livello minimo di risorse; i presentatori del presente atto di indirizzo ritengono invece che uno stato sociale debba avere compiti redistributivi, erogando, in moneta o in natura, prestazioni sociali volte a garantire alla generalità dei propri cittadini un tenore di vita adeguato, comunque commisurato anche a uno standard di povertà relativa”.

Secondo loro “una delle principali motivazioni addotte a favore del ricorso a criteri selettivi, ovvero al cosiddetto Rei, è da ricercarsi nella presunta minore onerosità per il bilancio statale unita ad una maggiore efficacia in termini di equità”. Ma così “la misura del Rei avvantaggia esclusivamente coloro che si collocano nelle posizioni reddituali inferiori della distribuzione, mentre l’erogazione di un beneficio universale comporta benefici anche per le classi medie”. Il Rei insomma “attua misure tradizionali allo scopo di garantire un livello minimo di sussistenza nel caso i singoli individui non dispongano di fonti alternative di reddito: tale misura agisce come una sorta di protezione contro il rischio di non lavorare e si configura sostanzialmente come misura redistributiva per combattere esclusivamente la povertà di reddito”.

Selettività e universalismo

Il testo vuole marcare una differenza concettuale fra ReI, selettivo, assistenzialistico e rivolto ai più poveri, e il Reddito di cittadinanza più universalistico e meno selettivo, più ispirato quindi alla teoria originaria del reddito di cittadinanza, il “reddito di base universale”. Questo prevede infatti l’erogazione di un contributo a ogni cittadino come tale, senza alcuna indagine sul beneficiario e senza alcuna selettività sulla sua condizione economica, per consentirgli di fare libere scelte sull’uso del suo tempo, e anche sul tempo di lavoro o di non lavoro.

La mozione taccia quindi il ReI di selettività eccessiva, dato che assume come selettore dei beneficiari una modesta frazione della povertà assoluta, pari a 180 euro netti al mese per un singolo, “tale da avvantaggiare esclusivamente coloro che si collocano nelle posizioni reddituali inferiori della distribuzione. L’erogazione di un beneficio universale comporta invece benefici anche per le classi medie”, e per questo la proposta del M5Stelle assume una soglia di riferimento ben più elevata, quella del rischio di povertà definito dalle statistiche europee, pari a 780 euro netti al mese per un singolo.  E potrebbe anche con passi ulteriori aprire verso le classi medie: “erogando un importo più elevato rispetto al sussidio economico, gli 80 euro, che il governo Renzi ha introdotto, si potrà determinare persino, nel prossimo futuro, una riduzione degli ammortizzatori sociali presenti nel sistema, andando così a sgravare il bilancio dell’Inps da una serie di costi e, in aggiunta, verrebbe garantita una riduzione dei contributi sociali a vantaggio sia dei salari, sia dei redditi da lavoro”.

Le risorse, dove trovarle?

Queste affermazioni potrebbero preludere a un riutilizzo, prossimo o futuro, per il finanziamento del Reddito di cittadinanza, delle risorse oggi assorbite dagli 80 euro di Renzi (9 miliardi), più quelle destinate agli ammortizzatori sociali contro la disoccupazione temporanea (951 milioni), al ReI (2.750 milioni), cui si potrebbero aggiungere l’assegno personale di ricollocazione e la garanzia giovani (2 miliardi), il bonus per l’acquisto dai giovani di beni culturali (290 milioni), per un totale di ben 14.951 milioni. Una tale riconversione della spesa è stata proposta da una rivista vicina al Movimento, Politica ed economia, ed è stata riportata da Di Vico sul Corriere della sera. Forse non entrerà nella prossima legge di bilancio, ma indica una prospettiva che viene considerata, e che risulterebbe anche coerente con la teoria del Reddito di cittadinanza, che prevede appunto il riassorbimento in tale misura di altri interventi sociali e dei relativi costi.

Il ReI ha rappresentato un’importante svolta, da tempo attesa, nelle nostre politiche contro la povertà, ma l’attuale sua consistenza e diffusione è assolutamente inadeguata. L’eccessiva lentezza con cui i passati Governi hanno implementato la misura a fronte di un disagio sociale diffuso e crescente, ha avuto del resto puntuale riscontro nell’esito delle recenti elezioni, con il ridimensionamento del PD e la crescita del consenso del Movimento 5 Stelle.

Quanto alla profonda revisione dell’attuale imputazione e distribuzione della spesa assistenziale a sostegno dei redditi, anch’io da tempo ne condivido la necessità, ma l’ipotesi ora prospettata non è per ora inserita in una prospettiva più generale di riforma del sistema e non è accompagnata da una attenta verifica sugli effetti di tale operazione, e in particolare sulle aree e le situazioni di scopertura rispetto a bisogni seri e concreti che probabilmente aprirebbe. In attesa di maggiori approfondimenti appare quindi per ora azzardata.

I quasi 15 miliardi che la riconversione indicata libererebbe dalle attuali destinazioni renderebbero praticabile finanziariamente la proposta di Reddito di cittadinanza assunta nel contratto di governo: soglia della povertà relativa di 780 euro mensili, 500 euro di importo medio mensile per famiglia, 8 milioni di individui beneficiari, 17 miliardi di costo. Di Maio su questa insiste, e anche in tv a Cartabianca ha escluso di poter accettare soluzioni riduttive come l’assunzione dell’attuale soglia del ReI (per un singolo 180 euro al mese, importo mensile medio per famiglia stimato a 300 euro), sia pur associata a un raddoppio degli attuali beneficiari del ReI, da 2 a 4 milioni di persone (con passaggio da 2,5 a 5 miliardi di costo), o a una sua estensione a tutti i poveri assoluti, 5 milioni di individui, con 6,3 miliardi di costo.

Alcuni commentatori ipotizzano che se i vincoli di bilancio risultassero insuperabili, una mediazione accettabile come primo passo di un processo che dovrà andare oltre potrebbe configurarsi con l’assunzione di una o più soglie nel range di quelle della povertà assoluta Istat, per un target di 5 milioni di beneficiari e un costo di 10 miliardi. La definizione della soglia selettiva dei beneficiari e di integrazione del reddito sarebbe politica, e non certo l’assunzione delle soglie territoriali Istat già molto discusse, in particolare perché, basate sul costo della vita, avvantaggerebbero il nord, non considerando adeguatamente le carenze di infrastrutturazione e servizi del Mezzogiorno. Anche tale ipotesi risulta ad oggi finanziariamente poco praticabile se non si intendesse procedere a revisione delle misre in atto ad integrazione di redditi carenti, quelle sopra indicate o altre, ad esempio quelle da noi proposte con analisi approfondite nel 2016.

Lavoro e anche pensione di cittadinanza?

Tornando alla mozione, il testo si concentra poi sul lavoro: “in un mercato del lavoro sempre più flessibile, dove diventa sempre più facile perdere e trovare un nuovo lavoro, il reddito di cittadinanza consentirebbe di avere una continuità economica per i periodi in cui non c’è occupazione, e ciò è positivo innanzitutto per i lavoratori, ma anche per il mercato stesso in un’ottica di flexsecurity connotata dalla flessibilità per chi assume da una parte e da uno stato in grado di formare, riqualificare e reinserire il lavoratore,  incrociando la domanda con l’offerta di lavoro dall’altra; (…) attraverso una misura, qual è il reddito di cittadinanza, è sicuramente possibile prevenire l’esclusione sociale degli individui con un reddito non continuo ed esiguo”.

La mozione conclude impegnando il Governo in primo luogo “ad assumere iniziative per istituire il reddito di cittadinanza, quale misura per il contrasto alla povertà, alla diseguaglianza e all’esclusione sociale nonché a favorire la promozione delle condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro e alla formazione, attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale di tutti i cittadini italiani in pericolo di marginalità, nella società e nel mondo del lavoro”; e a tal fine “a valutare l’opportunità di assumere iniziative per fissare un ammontare, parametrato alla soglia di rischio di povertà, calcolata sia per il reddito che per il patrimonio, alla base della scala Ocse per nuclei familiari italiani più numerosi”. Viene così finalmente chiarito che, come per il ReI, la situazione economica dei potenziali beneficiari verrà ricostruita considerando sia la componente reddituale che quella patrimoniale.

Da ultimo la mozione impegna il Governo “a valutare l’opportunità di assumere iniziative per assegnare una pensione di cittadinanza ai cittadini italiani che vivono sotto la soglia minima di povertà, attraverso l’integrazione dell’assegno pensionistico, inferiore a 780 euro mensili, secondo i medesimi parametri previsti per il reddito di cittadinanza”. Indicazione questa vaga (si riferisce solo alle pensioni minime integrate? O anche ad altri assegni?, che suscita non poche perplessità. Perché o è inutile, nel senso che i detentori di pensione minima debbono poter usufruire del reddito di cittadinanza come tutti gli altri cittadini, o mira invece a privilegiare l’aumento dei minimi pensionistici, con i relativi rilevanti costi, rinviando al futuro la ben più impegnativa realizzazione del reddito di cittadinanza. Sarebbe una scelta analoga a quella che già all’inizio del secondo millennio ha affossato il tentativo della ministra Turco di introdurre una misura specifica di contrasto alla povertà, il RMI, che se avesse avuto successo avrebbe contribuito a contrastare il drammatico aumento della povertà avvenuto negli anni della crisi, dal 2007 ad oggi, anche per la mancanza di uno strumento specifico di protezione. Anche allora si preferì integrare i minimi pensionistici piuttosto che finanziare l’avvio del Rmi. Si rischia allora di ripetere la passata scelta elettoralistica assicurando la pensione di cittadinanza alla soglia dei 780 euro ai titolari di pensione minima, in piena contraddizione con l’evoluzione della povertà che vede penalizzati soprattutto minori, giovani, famiglie con più figli, mentre lascia largamente indenni le persone anziane e con qualche percorso lavorativo formalizzato, meglio protette dai tradizionali interventi assistenziali. E ancora una volta si privilegerebbe la facile erogazione di un sussidio, scisso da strumenti di inclusione e promozione sociale, che richiedono impegno pazienza fatica, ma danno ritorni certo meno immediati ma ben più qualificati e efficaci.

Solo per gli italiani?

Con un grave cedimento al “dagli all’immigrato!” la mozione afferma ripetutamente che beneficiari del reddito e della pensione di cittadinanza saranno solo gli italiani. Il criterio generalmente assunto della residenza, nel caso di una certa durata, teso a impedire incursioni occasionali e opportunistiche che l’introduzione di un beneficio consistente a integrazione di redditi inadeguati potrebbe stimolare, per riservare il beneficio solo a chi abbia scelto di stare con continuità sul nostro territorio, assumendo oneri e vantaggi, verrebbe così sostituito da quello della nazionalità. Certo così si risparmierebbero anche   non poche risorse, dato che le famiglie di soli stranieri, o miste, registrano una percentuale di povertà, sia assoluta che relativa, di molto superiore a quelle delle famiglie di soli italiani. Ma a scapito di una grave regressione sul piano dei valori e dei conseguenti diritti: dovremo sperare ancora una volta nella magistratura, ordinaria o costituzionale, o europea, per la loro riaffermazione?

Per concludere non posso che ribadire quanto ho affermato nel mio recente libro e più volte qui su welforum: l’impegno dei 5 stelle sul tema povertà è salutare, le critiche all’insufficienza e tardività del ReI sono giustificate e condivisibili ma non devono condurre a ignorare ciò che con esso finalmente si è avviato, come affermazione di un livello essenziale con un corrispondente diritto e come processo di sviluppo di interventi di inclusione sul territorio. Si cambi pure il nome, ma non si azzeri il lavoro finora svolto perché ReI e Reddito di cittadinanza presentano rilevanti differenze ma, malgrado le osservazioni della mozione che prima riportate, non risultano alternativi. Quanto fatto per il ReI è funzionale e utile anche ad uno sviluppo del Reddito di cittadinanza. Va quindi salvaguardato, e però integrato e implementato per superarne i forti limiti e per introdurre nuovi orientamenti e sviluppi, in particolare sul fronte dell’inserimento lavorativo, più corrispondenti alla visione della attuale maggioranza di governo.

 


INPS – I DATI

REI: i dati del primo semestre

È stato pubblicato l’Osservatorio sul Reddito di Inclusione (REI) con i dati del primo semestre 2018, periodo in cui sono stati erogati benefici economici a 267mila nuclei familiari raggiungendo 841mila persone.

Dal 1° gennaio 2018 il REI ha sostituito un’altra misura di contrasto alla povertà, il SIA (Sostegno per l’Inclusione Attiva).

Persistono tuttavia trattamenti SIA erogati a 44mila nuclei familiari. Sommando questi trattamenti a quelli del REI emerge che nel primo semestre 2018 le misure contro la povertà hanno raggiunto circa 311mila nuclei e oltre un milione di persone.

Limitando l’analisi al REI, la maggior parte dei benefici vengono erogati al sud (70%) con interessamento del 73% delle persone coinvolte. Campania e Sicilia sono le regioni con maggiore numero assoluto di nuclei beneficiari (insieme rappresentano il 50% del totale e il 53% del totale delle persone coinvolte). Calabria, Lazio, Lombardia e Puglia coprono un ulteriore 28% dei nuclei e il 27% delle persone coinvolte.

Il tasso di inclusione del REI, ovvero il numero di persone coinvolte ogni 10mila abitanti, a livello nazionale risulta pari a 139, raggiungendo i valori più alti in Sicilia, Campania e Calabria (rispettivamente 416, 409, 309) e quelli minimi in Friuli Venezia Giulia (15) e in Trentino Alto Adige (17).

L’importo medio mensile, pari a 308 euro, risulta variabile a livello territoriale, con un intervallo tra i 242 euro della Valle d’Aosta ai 338 euro della Campania.


INPS –  GUIDA E MODULISTICA

Reddito di inclusione: guida alla misura di contrasto alla povertà

19 febbraio 2018

Sono 75.885 le domande di Reddito di Inclusione pervenute all’Inps nel periodo fra il 1° dicembre 2017 e il 2 gennaio 2018. La misura è stata introdotta dal Governo per contrastare la povertà di nuclei familiari con almeno un figlio a carico e in condizioni economiche svantaggiate.

Il sussidio è regolato dal decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147, emanato in attuazione della legge-delega 15 marzo 2017 con decorrenza dal 1° gennaio 2018.

REI: lotta alla povertà e all’esclusione sociale

Il REI è composto da due parti: un assegno mensile, erogato attraverso una carta prepagata emessa da Poste Italiane SpA (denominata carta REI) e un progetto di reinserimento sociale e lavorativo.

L’importo dell’assegno mensile dipende dalla dimensione del nucleo familiare e dallo scostamento del reddito da una determinata soglia di accesso. La sua erogazione è subordinata alla valutazione della situazione economica e all’adesione a un programma personalizzato di attivazione lavorativa.

Il beneficio economico sarà erogato per un massimo di 18 mensilità, dalle quali saranno sottratte le eventuali erogazioni del Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) precedentemente percepite. Una volta trascorsi i 18 mesi il REI potrà essere rinnovato per ulteriori 12 mesi ma solo dopo che siano passati almeno sei mesi dalla data di cessazione del godimento della prestazione.

 

Chi può beneficiare del REI e quali sono i requisiti familiari

Possono ricevere il reddito di inclusione sociale i cittadini italiani e comunitari. Anche i cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno e gli aventi diritto ad una protezione internazionale possono accedere alla prestazione ma dovranno essere residenti in Italia da almeno due anni al momento della presentazione della domanda.

Esistono, inoltre, dei requisiti familiari per ottenere il REI. Al momento della presentazione della domanda il nucleo familiare deve essere in una delle seguenti condizioni:

  • presenza di un componente di età minore di anni 18;
  • presenza di una persona con disabilità, almeno un suo genitore o tutore;
  • presenza di una donna in stato di gravidanza accertata;
  • presenza di un lavoratore di età pari o superiore a 55 anni, che si trovi in stato di disoccupazione da almeno tre mesi e non riceva altro sussidio per la disoccupazione.

L’assegnazione del sussidio dipenderà anche dall’indicatore della situazione economica equivalente ( ISEE) e dall’indice della situazione reddituale (ISRE). Il REI è incompatibile con la contemporanea fruizione, da parte di qualsiasi componente il nucleo familiare, dellaNASpI o di altro ammortizzatore sociale per la disoccupazione involontaria.

 

Modalità di accesso al beneficio

Dal 1° dicembre 2017 si può richiedere il REI presso i comuni o altri punti di accesso identificati dagli stessi, utilizzando il modello   presente nella circolare INPS 22 novembre 2017, n. 172. Al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata del beneficio, il richiedente deve essere in possesso di un’attestazione ISEE in corso di validità.

È possibile accedere al REI anche online.

Fonte  https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=51383

Reddito di Inclusione: disciplina e modalità di accesso al beneficio

Il Reddito di Inclusione (REI) è una misura di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale introdotta dal decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147, emanato in attuazione della legge-delega 15 marzo 2017 con decorrenza dal 1° gennaio 2018.

Tale misura prevede un beneficio economico erogato attraverso l’attribuzione di una carta prepagata emessa da Poste Italiane SpA ed è subordinata alla valutazione della situazione economica e all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa.
Il beneficio economico sarà erogato per un massimo di 18 mesi, dai quali saranno sottratte le eventuali mensilità di Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) percepite.

Il nucleo richiedente dovrà soddisfare specifici requisiti di residenza e anagrafici, economici, di composizione del nucleo familiare e di compatibilità, specificamente dettagliati nella circolare.

L’ammontare dell’importo è correlato al numero dei componenti del nucleo familiare e tiene conto di eventuali trattamenti assistenziali e redditi in capo al nucleo stesso. In ogni caso, l’importo complessivo annuo non può superare quello dell’assegno sociale.

Coloro che, alla data del 1° dicembre 2017, stanno ancora percependo il SIA potranno presentare immediatamente domanda di REI o decidere di presentarla al termine della percezione del SIA, senza che dalla scelta derivi alcun pregiudizio di carattere economico.
La circolare INPS 22 novembre, n. 172 fornisce le prime istruzioni amministrative, illustra il riordino delle prestazioni assistenziali finalizzate al contrasto alla povertà, in particolare del Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) e dell’ASDI (Assegno Sociale di Disoccupazione) e la conseguente rideterminazione del fondo povertà a decorrere dal 2018.
Il 24 maggio 2018 l’INPS ha pubblicato il nuovo modello di domanda, che recepisce le novità previste dalla legge di bilancio 2018. Il modello è allegato al messaggio 2120 del 24 maggio 2018

Al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata del beneficio, il richiedente deve essere in possesso di un’attestazione ISEE in corso di validità.


REGIONI – RIEPILOGO PIANI REGIONALI DI CONTRASTO ALLA POVERTÀ APPROVATI

PIEMONTE 09/03/18

LIGURIA 23/03/18

EMILIA ROMAGNA 14/06/18

MOLISE 14/07/18

UMBRIA 18/07/18

VENETO 01/08/18

CALABRIA 11/08/18

TOSCANA 17/09/18

  • 120 MLNEURO PER PIANO REGIONALE DI CONTRASTO ALLA POVERTÀ

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