La “missione” del volontariato nella riforma Terzo settore secondo la Corte costituzionale
18 Marzo 2022Una sentenza decisiva, quella depositata lo scorso 15 marzo 2022 dalla Corte costituzionale per il Terzo settore. Si tratta della numero 72 sui contributi dell’acquisto di autoambulanze e beni strumentali previsti dal codice del Terzo settore per le organizzazioni di volontariato. Ecco un commento del costituzionalista e docente presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – centro di ricerca Maria Eletta Martini.
Il caso
La sentenza n. 72 del 2022 della Corte costituzionale ha affrontato la questione della legittimità della limitazione alle sole organizzazioni di volontariato del contributo per l’acquisto di autoambulanze, autoveicoli per attività sanitarie e beni strumentali, previsto dall’art. 76 del codice del Terzo settore (Cts). A giudizio della Corte, la limitazione è costituzionalmente legittima poiché essa costituisce una forma di supporto per quegli enti che, come le organizzazioni di volontariato (Odv), si avvalgono prevalentemente dell’attività di volontari associati, operano a fronte del mero rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate e, in definitiva, risultano attori della promozione dell’attività di volontariato. Afferma la Corte, infatti, che «(…) risulterebbe paradossale penalizzare proprio gli enti che strutturalmente sono caratterizzati in misura prevalente da volontari (…)».
La giurisprudenza costituzionale, a partire dalla sentenza n. 131 del 2020, ha offerto a più riprese ampie ricostruzioni della dimensione costituzionale del Terzo settore, pur a partire da casi, in apparenza, ad impatto limitato.
La sentenza n. 72 del 2022 conferma questa impostazione ed offre almeno quattro possibili angoli visuali di “lettura”, tutti densi di implicazioni: il tema del volontariato nella riforma del Terzo settore; la questione della parità di trattamento fra gli enti del Terzo settore (Ets) nel Terzo settore; un inquadramento importante della fiscalità del Terzo settore; il tema del rapporto fra mercato e Terzo settore.
Il volontariato nel Terzo settore
Il primo angolo visuale è quello di un importante “aggiornamento” della lettura costituzionale del volontariato dopo la riforma del Terzo settore del 2017, confermando però quanto affermato nella fondamentale sentenza n. 75 del 1992, vero e proprio “caposaldo” della lettura costituzionale del volontariato, riferita all’epoca alla legge n. 266 del 1991.
La Corte pone al centro del proprio ragionamento l’essenziale gratuità che connota l’attività di volontariato. La gratuità – intesa come azione compiuta dal volontario per rispondere alla naturale vocazione sociale di ciascun uomo per rispondere al bisogno dell’altro, senza alcuna attesa di remunerazione o per ordine dell’autorità – si rivela un punto di forza e, ad un tempo, un possibile fattore di debolezza.
È un punto di forza poiché essa – la gratuità, cioè – alimenta il “capitale sociale” della Repubblica. Si legge nella pronuncia che «il volontariato costituisce una modalità fondamentale di partecipazione civica e di formazione del capitale sociale delle istituzioni democratiche» e, pertanto, richiede una specifica considerazione e valorizzazione. É una questione che assume, nelle parole della Corte, carattere sistematico: si richiama come «all’origine dell’azione volontaria vi sia l’emergere della natura relazionale della persona umana che, nella ricerca di senso alla propria esistenza, si compie nell’apertura al bisogno dell’altro». Un primo risultato di questa sentenza, quindi, è conferire al volontariato una certa centralità all’interno dell’impianto della riforma: esso non è, in altri termini, un mero elemento accidentale o accessorio dell’attività e dell’organizzazione degli Ets; al contrario, ne è uno dei tratti maggiormente caratterizzanti e meritevoli, che esige, proprio per questo, specifica considerazione.
Per altro verso – ed è l’elemento di debolezza del volontariato, per così dire – lo svolgimento dell’attività attraverso l’apporto prevalente di volontari può rendere fragili le organizzazioni, le quali «non dispongono della possibilità di pattuire, per il servizio reso tramite l’attività di interesse generale, una remunerazione in grado di permettere l’acquisto o il rinnovo di automezzi e beni materiali strumentali». Lo stesso apporto del volontariato può risentire di molte variabili: essendo il volontario libero nell’esercizio dell’attività, esso potrebbe non assicurare una presenza continua (ad es., pensiamo a quanto accaduto con il Covid). Per questa ragione, il legislatore è chiamato a predisporre misure specifiche per sostenere il volontariato e gli enti che si avvalgono prevalentemente di volontari. La Corte richiama espressamente le funzioni dei centri di servizio per il volontariato Csv (art. 63 Cts) o l’impegno della pubblica amministrazione a promuovere la “cultura del volontariato” (art. 19 Cts): si tratta cioè di misure necessarie a consentire lo svolgimento dell’azione volontaria. Generalizzando il principio posto dalla Corte, quindi, risulta non solo costituzionalmente ammissibile ma – si potrebbe dire – addirittura doveroso allestire misure riservate e mirate a Ets caratterizzati dalla prevalenza dei volontari e dal connesso principio di gratuità.
La questione della parità di trattamento fra gli Ets nel Terzo settore
La sentenza, inoltre, affronta nuovamente la questione dell’esistenza di un principio di parità di trattamento fra tutti gli Ets, così come declinati nelle diverse qualifiche previste dalla riforma del Terzo settore. Da questo punto di vista, la Corte segnala l’importanza della “funzione unificante” della definizione di Ets contenuta nel codice del Terzo settore (art. 4) «diretta a ordinare e a riportare a coerenza la disciplina degli Ets, superando le precedenti frammentazioni e sovrapposizioni». Ciò, però, non significa accogliere una «indistinta omologazione di tutti gli Ets» poiché la pluralità di qualifiche riconosciute dal legislatore – in parte nuove ed in parte “storiche” – possono dar luogo a discipline differenziate, anche sul piano promozionale, in connessione col modo in cui le attività di interesse generale sono svolte (attività imprenditoriale, volontariato, mutualità, attività erogative, ecc.). Da un lato, quindi, la Corte valorizza l’autonomia degli enti («sono gli enti nella loro autonomia a individuare, variandola se necessario, quella che meglio consente, secondo la storia e l’identità di ciascuno, il raggiungimento dei propri fini istituzionali»); dall’altro, però, si ammette che possano esservi differenziazioni nei regimi di sostegno pubblico, ma queste devono giustificarsi ragionevolmente (ad es., per la specifica dimensione che assume, strutturalmente, l’apporto della componente volontaria all’interno dei suddetti enti). Fin qui, la Corte ribadisce quanto già detto in precedenti sentenze, ma aggiunge un “tassello” in più: si deve prestare attenzione a non distinguere formalisticamente in base alle sole qualifiche giuridiche. Al di là delle qualifiche, infatti, c’è una dimensione sostanziale cui occorre guardare. Così, volgendo un monito al legislatore, invita a considerare se non vi siano altri enti che, a prescindere dal fatto di essere Odv, condividano con quest’ultime le medesime caratteristiche. Pare essere questa un’indicazione al legislatore a considerare con attenzione l’effettiva operatività, in concreto, degli enti del Terzo settore, che può presentare connotati di similarità con altre, al di là della diversa qualifica posseduta (la Corte, ad es., invita a considerare in modo tendenzialmente unitario la posizione di organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale, quali enti che – citando le Linee guida del dm 72/2021 – esprimono «una connotazione di tipo solidaristico più marcata rispetto agli altri enti del Terzo settore»). Insomma, pare un invito a non considerare le “qualifiche” come “etichette”, ma come espressione di una specificità organizzativa e funzionale.
La fiscalità del Terzo settore
Ancora, uno spunto interessante viene dalla “lettura” costituzionale della fiscalità del Terzo settore. Si legge nella sentenza che «l’attività di interesse generale svolta senza fini di lucro da tali enti realizza anche una forma nuova e indiretta di concorso alla spesa pubblica (ciò che deriva dal necessario reinvestimento degli utili in attività orientate a una funzione sociale)». Si tratta di un passaggio decisivo, che il legislatore – che si accinge a modificare nuovamente le norme in tema di fiscalità del Terzo settore – dovrebbe tenere ben presente. Il criterio, infatti, che deve guidare la costruzione dell’architettura di una sussidiarietà fiscale per il Terzo settore, è che gli Ets realizzano, già con la loro attività, il precetto dell’art. 53 della Costituzione, concorrendo direttamente alla spesa pubblica attraverso le attività di interesse generale che essi svolgono, in vario modo, a favore dei cittadini, sia reinvestendo utili ed avanzi di gestione in quelle stesse attività. Non si determina, quindi, una destinazione di quella ricchezza prodotta nello svolgimento di una attività di interesse generale ad altri scopi, che non siano quelli connessi all’interesse generale stesso. Ciò appare denso di significato sul piano del trattamento fiscale: se già si tratta di una ricchezza destinata naturalmente a soddisfare il principio di concorso alla spesa pubblica, una sua eventuale tassazione diretta è costituzionalmente ammissibile? O non si realizza forse una sorta di “appropriazione pubblica”, che poi redistribuisce anche le risorse del Terzo settore, che erano già di per sé dedicate all’interesse generale? E la diversità di trattamento fra gli Ets, fino a che punto può spingersi sul piano fiscale? Si tratta di quesiti la cui attualità è rilanciata dalla Corte con grande forza.
Il mercato e gli Ets
Ma la sentenza n. 72/2022 offre anche uno sguardo prospettico sulla perdurante questione relativa all’assimilazione fra Ets e operatori economici for profit. In un passaggio, denso di significato, si afferma che gli Ets «che scelgono di svolgere attività economica – accettando i correlati vincoli, primo dei quali la rinuncia alla massimizzazione del profitto – possono essere considerati operatori di un “mercato qualificato”, quello della welfare society, distinto da quello che invece risponde al fine di lucro». La Corte prende così posizione sul fatto che, con riferimento agli Ets, non si pongono questioni di “equiparazione” rispetto agli operatori economici “puri”, per così dire: essi sono geneticamente, finalisticamente, strutturalmente ed operativamente diversi, anche qualora operino come soggetti imprenditoriali (come, ad esempio, le imprese sociali) o svolgano una attività economica. Non si determina cioè una segregazione, perché i due ambiti hanno caratteristiche differenti e fra loro non immediatamente comparabili. Dunque, non dovrebbero sussistere perplessità nella predisposizione di misure ad hoc che, se connesse allo svolgimento di attività di interesse generale, consentano agli Ets di perseguire più efficacemente la loro finalità. In definitiva, la Corte ribadisce quanto già detto a proposito della cosiddetta amministrazione condivisa nella sentenza n. 131/2020: l’aver previsto un rapporto specifico fra Ets e pubblica amministrazione rispetto a quelle generalmente previste nel Codice dei contratti pubblici non viola – neanche sul piano del diritto Ue – una supposta parità di trattamento fra gli operatori economici, ma valorizza i soggetti operanti in quel “mercato qualificato” della cosiddetta welfare society, «distinto da quello che invece risponde al fine di lucro».
A mo’ di conclusione. L’attenzione europea…
In conclusione, la sentenza n. 72/2022 si presenta assai ricca di indicazioni operative e di sentieri di riflessione di lungo periodo per il Terzo settore. C’è un passaggio, in particolare, che merita di essere sottolineato: la dimensione costituzionale in cui si radica il Terzo settore «attiene ai principi fondamentali della nostra Costituzione, in quanto espressione di un pluralismo sociale rivolto a perseguire la solidarietà che l’art. 2 della Costituzione pone «tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico» (sentenza n. 75 del 1992) e a concorrere all’«eguaglianza sostanziale che consente lo sviluppo della personalità, cui si riferisce il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione» (sentenza n. 500 del 1993)». Si tratta di un punto decisivo, dal quale conviene partire nell’ambito dei necessari confronti con l’Unione europea, sui diversi tavoli (dalla fiscalità all’ampliamento dell’amministrazione condivisa). L’affermare che il Terzo settore disvela uno dei tratti essenziali dei principi fondamentali della Costituzione significa che la sua presenza, attività e, quindi, disciplina giuridica merita una specifica considerazione e che, in caso di eventuale conflittualità, è il diritto dell’Ue a dover trovare delle forme e modi per integrare, al suo interno, questo “patrimonio costituzionale” nazionale.
* costituzionalista e docente presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – centro di ricerca Maria Eletta Martini